QUANDO IL DOLORE, DA ALLEATO DIVIENE NEMICO

OTTOBRE 2021

Nell’articolo precedente viene argomentato come il dolore ci dia dei feedback molto chiari su cosa ci permette di vivere e cosa può portarci a morire, per questo non è né utile né consigliabile cercare delle tecniche per raggiungere l’analgesia totale. In questo modo infatti, otterremmo solo la nostra estinzione.

Ma è sempre così? Il dolore è sempre utile alla vita e all’equilibrio del nostro organismo? La risposta sembra sorgere spontanea: no, non è sempre così. In alcuni casi il dolore causa esso stesso squilibrio e diventa una patologia. È quindi necessario andare a distinguerne tipologie differenti.

Il sito del Ministero della Salute definisce in modo chiaro tre tipologie di dolore: acuto, cronico e procedurale.

Il dolore acuto  ha la funzione di avvisare l’individuo della lesione tissutale in corso ed è normalmente localizzato, dura per alcuni giorni e tende a diminuire con la guarigione. La sua causa è generalmente chiara.

Il dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso e/o da fenomeni di automantenimento, che prolungano la stimolazione nocicettiva anche quando la causa iniziale si è limitata. Si accompagna ad una importante componente emozionale e psicorelazionale limitando la performance fisica e sociale del paziente.

Il dolore procedurale “accompagna molteplici indagini diagnostiche/terapeutiche e rappresenta in ogni setting, situazione ed età, un evento particolarmente temuto e stressante. Il dolore si associa ad ansia e paura e non infrequentemente la sua presenza condiziona in maniera importante la qualità percepita di cura, nonché la qualità di vita”.

(Ministero della Salute, 2013).

Il tipo di dolore che verrà prevalentemente considerato in questa sede è quello cronico. Questo tipo di dolore perde la funzione adattiva, in quanto non si tratta più di essere in una condizione di pericolo, ma si genera e autogenera in situazioni in cui, non solo non è utile, ma arreca un disagio importante alla persona, oltre che conduce, esso stesso, allo sviluppo di altre problematiche e patologie.

L’international Association for the Study of Pain (IASP) definisce il dolore cronico:

Un’ esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata o meno a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di un simile danno.

(IASP, 1994).

Viene quindi sottolineato come la lesione tissutale non è necessaria, anzi nella maggior parte dei casi il dolore non è connesso ad essa, o perché non vi è stata, o perché è passato molto tempo dal danno, per cui la sofferenza provata non vi è più direttamente connessa.

Ciò che caratterizza invece in modo universale il dolore cronico sono le conseguenze ingenti sulla qualità di vita della persona. Tutte le sfere dell’esistenza vengono danneggiate ed entrano in gioco emozioni negative come paura e angoscia connesse all’esperienza dolorosa. La persona sente di perdere il controllo del proprio organismo, non riesce a comprendere cosa causa il dolore e spesso si blocca, eliminando tutto ciò che potrebbe esserne responsabile. Riduce la socialità, restringe l’alimentazione per paura che un tale alimento o bevanda scatenino l’attacco doloroso, evita situazioni che potrebbero mettere in una condizione di stress l’organismo. Tutto ciò conduce a ridurre l’attività lavorativa o lo studio, con gravi conseguenze sulla soddisfazione personale. Anche per questo l’autostima potrebbe subire gravi contraccolpi nel momento in cui l’individuo si ritrova compromessa ogni sfera della sua vita. Inoltre, in condizioni di dolore cronico prolungate, possono verificarsi insonnia, tendenza all’isolamento, oltre che comorbilità con sintomi ansioso-depressivi (IASP, 2010).

Uno studio di Lachlan A. McWilliams, Brian J. Cox e Murray W. Enns (2003) ha analizzato la comorbilità tra dolore cronico e disturbi psichici diagnosticabili secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders del tempo (American Psychiatric Association, 1987), riscontrando una correlazione positiva tra dolore e varie condizioni mediche. L’associazione più significativa è stata riscontrata tra dolore e disturbi dell’umore e d’ansia, in particolar modo con i disturbi di panico e da stress post traumatico.

Tutto questo aiuta a capire come, nell’esperienza di sofferenza e dolore cronico, l’elemento chiave venga giocato dalle emozioni e dalla modulazione dell’esperienza da parte del nostro sistema nervoso centrale, in particolar modo dalla corteccia. Verrà quindi successivamente analizzata la modalità con cui diverse aree del nostro cervello intervengono nella regolazione della percezione dolorosa.

 Bibliografia

  • Mcwilliams, L. A., Cox, B. J., & Enns, M. W. (2003). Mood and anxiety disorders associated with chronic pain: an examination in a nationally representative sample. Pain, 106 (1), 127–133.
  • http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=3769&area=curePalliativeTerapiaDolore&menu=terapia
  • https://www.iasp-pain.org/index.aspx

 Dott.ssa Elisa Brembilla

Psicologa, Mindfulness educator, Psicoterapeuta sistemico-relazionale in formazione.